E' un blog, uno spazio libero di passaggio, un lavoro a mani libere su cui lasciare la propria impronta. Un blog aperto a tutti coloro che vogliono lasciare una testimonianza di come sia loro vita da quando hanno ricevuto la diagnosi di sieropositività.

Questo non vuole essere un blog di informazione medica o di autoaiuto, ma uno spazio comune dove chiunque possa ritrovarsi attraverso le parole di altri, che come lui stanno vivendo la stessa esperienza.

I testi contribuiranno a dar vita ad uno spettacolo che racconta la vita, le emozioni, i pensieri di chi è HIV +.

Puoi commentare i testi già presenti o inviarci qualcosa di tuo a:


hoimparato@gmail.com.

mercoledì 2 marzo 2011

Piccolo e Scuro


Eccomi qui. A scriverti e, in parte, a scrivermi. Per mettere insieme i pensieri di settimane di riflessioni e di fatica, lasciati sedimentare per altrettante settimane, e che ora richiedono, finalmente, di essere verbalizzati. Per rimettermi insieme. Preferisco scriverti una lettera, una lettera lunga che raccolga tutto ciò che è rimasto e si è trasformato.
Sono qui, in attesa del mio ennesimo turno, seduto su questa sedia, con davanti un foglio bianco, titubante, nervoso sulla sedia, che cerco di acchiappare le fila di un pensiero che è sfuggevole, che stenta a farsi riconoscere. Su di me le cose scivolano, passano, però tutto lascia un segno (sai?), un tatuaggio, indelebile sulla mia carne, che cresce e muta di giornata in giornata. Non mi capita spesso di soffermarmi davanti ad uno specchio ad osservare le cicatrici d’inchiostro che sono la mia vita. Lascio che il mio corpo si disegni da solo, mi sento un ospite di quel disegno che ancora non ho inteso.
Credo nella possibilità di un’esistenza diversa, di cui accetto i rischi col sorriso sulle labbra (come faceva il Marinaio nel pericolo e nell’insidia dei suoi strani affari) accettando con un fremito imperscrutabile di piacere di contrarne il contagio, che mi resta come segno indelebile e indecifrabile sulla pelle, come i tatuaggi che il Marinaio si è fatto fare, uno ad Amburgo e l’altro a San Diego o a Hong Kong, non ricordo bene, è difficile essere precisi.
Contagio, sì sono contagiato. Contagiato dalla città in cui vivo, dall’ultima settimana passata insieme io e te, dalle forti passioni che vivo, contagiato da me stesso e dalle persone che frequento, dalle persone che amo e che non riescono a non chiedermi perché.
Sono qui, seduto in bilico sulla sedia, e mi sento estremamente fragile. Fragile perché la mia curiosità mi ha aperto le porte dell’esperienza e il mio cuore ha pulsato battiti che sono già vento, vento passato. Il mio cuore è scoperto e rosso, piccolo e scuro, indifeso, che respira a fatica. Il mio cuore giace lì, con le costole aperte pronto a prendersi le sberle che le mie stesse mani gli danno. Lo induco ad emozionarsi per poi rattrappirsi, brilla negli occhi di qualcuno e poi serro le palpebre. Per paura. Ne ho ancora tanta.  Il mio cuore è solo, in fibrillazione.
Sono in una fase di accettazione, sai? Credo nel limite e non più nell’oltre. O meglio: vivo l’oltre nello sfavillare del limite (come le stelle, ricordi?). Accetto, devo e voglio accettare, la tempesta che si sta abbattendo sul piccolo porticciolo delle mie certezze, la pioggia acida che sta erodendo il monumento di me che mi sono costruito.
Mi sento piccolo piccolo, qui sulla sedia, e mi piace sentirmi così mentre ti dico che ti voglio bene.

Nessun commento:

Posta un commento