E' un blog, uno spazio libero di passaggio, un lavoro a mani libere su cui lasciare la propria impronta. Un blog aperto a tutti coloro che vogliono lasciare una testimonianza di come sia loro vita da quando hanno ricevuto la diagnosi di sieropositività.

Questo non vuole essere un blog di informazione medica o di autoaiuto, ma uno spazio comune dove chiunque possa ritrovarsi attraverso le parole di altri, che come lui stanno vivendo la stessa esperienza.

I testi contribuiranno a dar vita ad uno spettacolo che racconta la vita, le emozioni, i pensieri di chi è HIV +.

Puoi commentare i testi già presenti o inviarci qualcosa di tuo a:


hoimparato@gmail.com.

giovedì 10 novembre 2011

Prossime tappe...



Il viaggio continua... ecco le prossime date, non siamo ancora stanchi, vi chiediamo di scriverci e commentarci, anche duramente se è il caso, in ogni modo ci aiutereste a migliorare il nostro lavoro.


1 dicembre a TRIESTE all'interno di "+ o - positivi, Giornata Mondiale di 
lotta all'Aids".
9 dicembre a VICENZA all'interno della rassegna teatrale "Appunti per 
narrazioni ribelli", intervengono Rebecca Zini (Responsabile Nazionale del 
Cassero - Settore salute) e il dott. Andrea Barelli (medico infettivologo 
dell'ospedale di Mestre, VE)
10 dicembre Sarzana (La Spezia) all'interno della rassegna "N.I.N."
16 dicembre a TORINO all'interno della rassegna teatrale "Die Mauer"

lunedì 11 luglio 2011

Cose fatte, cose da fare

Dopo molto tempo eccoci qui a raccontare come prosegue il nostro viaggio, le cose fatte e da fare.
Un viaggio non sempre facile che ci ha convinti della necessità di questa esperienza .


11 marzo
Teatro a Mezz’Aria
Presso il  C.S.O. Pedro – Padova

29 maggio
TeatrotraiPiedi Festival
Presso il Caffè Bukowski
Valdagno – Vicenza

26 giugno
Presso il Circolo Arcigay il Cassero
Bologna

12 agosto
Presso Osteria 150
Campo Marzio - Vicenza

mercoledì 2 marzo 2011

Piccolo e Scuro


Eccomi qui. A scriverti e, in parte, a scrivermi. Per mettere insieme i pensieri di settimane di riflessioni e di fatica, lasciati sedimentare per altrettante settimane, e che ora richiedono, finalmente, di essere verbalizzati. Per rimettermi insieme. Preferisco scriverti una lettera, una lettera lunga che raccolga tutto ciò che è rimasto e si è trasformato.
Sono qui, in attesa del mio ennesimo turno, seduto su questa sedia, con davanti un foglio bianco, titubante, nervoso sulla sedia, che cerco di acchiappare le fila di un pensiero che è sfuggevole, che stenta a farsi riconoscere. Su di me le cose scivolano, passano, però tutto lascia un segno (sai?), un tatuaggio, indelebile sulla mia carne, che cresce e muta di giornata in giornata. Non mi capita spesso di soffermarmi davanti ad uno specchio ad osservare le cicatrici d’inchiostro che sono la mia vita. Lascio che il mio corpo si disegni da solo, mi sento un ospite di quel disegno che ancora non ho inteso.
Credo nella possibilità di un’esistenza diversa, di cui accetto i rischi col sorriso sulle labbra (come faceva il Marinaio nel pericolo e nell’insidia dei suoi strani affari) accettando con un fremito imperscrutabile di piacere di contrarne il contagio, che mi resta come segno indelebile e indecifrabile sulla pelle, come i tatuaggi che il Marinaio si è fatto fare, uno ad Amburgo e l’altro a San Diego o a Hong Kong, non ricordo bene, è difficile essere precisi.
Contagio, sì sono contagiato. Contagiato dalla città in cui vivo, dall’ultima settimana passata insieme io e te, dalle forti passioni che vivo, contagiato da me stesso e dalle persone che frequento, dalle persone che amo e che non riescono a non chiedermi perché.
Sono qui, seduto in bilico sulla sedia, e mi sento estremamente fragile. Fragile perché la mia curiosità mi ha aperto le porte dell’esperienza e il mio cuore ha pulsato battiti che sono già vento, vento passato. Il mio cuore è scoperto e rosso, piccolo e scuro, indifeso, che respira a fatica. Il mio cuore giace lì, con le costole aperte pronto a prendersi le sberle che le mie stesse mani gli danno. Lo induco ad emozionarsi per poi rattrappirsi, brilla negli occhi di qualcuno e poi serro le palpebre. Per paura. Ne ho ancora tanta.  Il mio cuore è solo, in fibrillazione.
Sono in una fase di accettazione, sai? Credo nel limite e non più nell’oltre. O meglio: vivo l’oltre nello sfavillare del limite (come le stelle, ricordi?). Accetto, devo e voglio accettare, la tempesta che si sta abbattendo sul piccolo porticciolo delle mie certezze, la pioggia acida che sta erodendo il monumento di me che mi sono costruito.
Mi sento piccolo piccolo, qui sulla sedia, e mi piace sentirmi così mentre ti dico che ti voglio bene.

Deliro nell'urlo


Ci sono momenti in cui non puoi far altro che urlare, urlare con tutta la forze che hai in corpo, urlare fino a sentire la tua voce incrinarsi come un vetro sul punto di esplodere, urlare fino a sentire che ti stai lacerando non solo le corde vocali ma anche l'anima. Ci sono momenti in cui non puoi fare altro altrimenti senti che potresti impazzire, altrimenti sai che finiresti per non essere più tu, ci sono momenti in cui è l'unica cosa che puoi fare perché le parole non sarebbero mai in grado di accorciare la distanza tra te e gli altri
Agitato è il mio cuore. Urlerò per rabbia, per nostalgia. Ti amo. Colpisci più che puoi il mio cuore. Questo fuoco ha bisogno di altro fuoco. Non poter dimenticare, non voler dimenticare per nessuna ragione al mondo. Solo rabbia, sbatto contro i muri, artiglio le pareti, abbatto gli specchi. Deliro dolcemente, sempre più fatalmente. Sono un’essenza rara , come il profumo delle rose. Fiori, campi di fiori palpitanti nel vento. Non senti battere il cuore. È solo un palpito, un soffio lieve. Leggeri, fragili, cristallini, pacificati. Amo solo il vento, è solo un soffio, sussurrami “Ti amo”.

Una donna


Mi chiedo spesso se ci siano limiti all'amore, no veramente esistono limiti all'amore? Passiamo metà della nostra vita a raccontarci che l'amore ci salverà da ogni dolore, dalle giornate buie, dalle parole che feriscono come pietre appuntite, dai nostri fallimenti ma non è così.
Solo così mi spiego perché il mio compagno di allora non mi ha lasciata, era il 1985 quando mi sono decisa a fare il test. Non ci fu nessun motivo in particolare, all’epoca vivevo tra Ibiza e Zurigo, ero giovane, innamorata e incredibilmente felice. Tutto cominciò lentamente: prima come un brusio poi come una bufera, molte persone che conoscevo prima si ammalavano e poi morivano; così alla fine mi decisi a fare il test.
Non posso dire che l'esito mi trovò impreparata… e l'amore in qualche modo mi salvò: non è sempre così? Anche gli amori che poi finiscono per noia e per apatia sanno essere eroici da resistere a qualcosa di così grande
Sicuramente sono stata fortunata: nessun grosso problema, nessuna malattia correlata, forse l'unica cosa che mi ha tolto questa malattia è stata la possibilità d’essere madre… non esistevano all’epoca i medicinali che esistono ora e la possibilità che il mio bambino potesse essere positivo era alta, troppo alta per me almeno.
Poi ho avuto altre storie, alcune sono andate bene altre male. Alcune per la malattia, altre semplicemente perché così deve andare.
Non ho messo nessuno in pericolo e per questo posso dormire tranquilla: avendo le informazioni che abbiamo, ognuno deve essere responsabile della propria salute e responsabile delle sue azioni.
Non sono sempre state rose e viole: dopo tanti anni di terapia, ho tutti gli effetti nocivi che questa può dare. Ma non è così dura come sembra.
Non so se si possa dire di me che ero bella, direi più un tipo: le spalle ampie e dritte, i capelli neri folti e ricci, due occhi grandi che sapevano far percepire tutta la fragilità che basta ad un uomo per sentirsi un principe senza paura al mio fianco, forse sì a modo mio sono  stata bella.
Certo a guardarmi ora forse non lo diresti, ma forse perché non sono più giovane, chissà se riesci a vedere nel mio viso i segni, chissà se riesci a leggermi tutti gli ultimi 20 anni, no che non ci riesci. Cinque anni fa il mio viso ha cominciato a cambiare, i miei occhi sono diventati sempre più grandi, sembrava dimagrissi guardandomi in faccia ma il mio peso non cambiava. Non ci ho messo molto a capire che stava succedendo a me, sapevo esattamente che nome dare a questa nuova prova: lipodistrofia. Ogni giorno ho continuato a guardarmi in faccia e vedevo i miei occhi farsi sempre più grandi  ma in realtà non erano gli occhi a diventare grandi erano le mie guance che scomparivano lentamente giorno dopo giorno. E tutti a chiedermi se stessi dimagrendo o se fossi stressata e io a dire di sì e ogni volta il cuore voleva saltarmi in petto.
Forse non sono mai stata bella, non lo so, ma sicuro non sono mai stata quello che stavo diventando, parlare con i medici non aveva senso, che potevano dirmi se non che questo era il prezzo per restare viva, ma cazzo era un prezzo così alto.
Lo vedo sì, vedo che mi stai guardando cercando qualcosa, ma non troverai niente, non puoi trovare niente, sono semplici iniezioni di filler al volto, un paio di volte all'anno e tutto torna come nuovo, più o meno.
Non c'è molto da dire, le cose cambiano, tutto cambia, tutto cambia sempre che lo si voglia oppure no, comunque il mio volto sarebbe cambiato prima o poi, così magari è anche più bello (non perdo il mio carattere ottimista), che ne so io di come sarebbe diventata la mia faccia, che ne so, non me lo chiedere, io ho smesso ormai da tempo.

mercoledì 26 gennaio 2011

Poesie

Ci sono due piccolissime poesie che mi piacciono molto. Le condivido.
Andrea

Io vivere vorrei addormentato
entro il dolce rumore della vita.
(S. Penna)

La semplicità
è mettersi nudi
davanti agli altri.
(A. Merini)

Principessa

Come uno specchio che sta nel mezzo
tramite il quale stiamo guardando e osservando.
Uno specchio reciproco e permeabile.
Vedo le paure, le mie e le vostre.
Vedo le incertezze, le nostalgie.
Vedo la discordanza, dentro e fuori.
Si confondono.
Mi posso nascondere dietro lo specchio e sentirmi diversa,
ma buona.
Vi do la colpa per l'ingiustizia
e l'ineguaglianza del mondo.
Io Principessa dell'HIV.

mercoledì 19 gennaio 2011

Non riesco più a dire ti amo

Non ci riesco più a dire ti amo, non so se le cose sono collegate ma non so più dire ti amo. Adesso sono qui, guardo dalla finestra e tutto sembra immobile, è per questo che ho scelto quest'appartamento, un piccolo appartamento dal pavimento in legno dalle pareti bianche e vuote dalle finestre piene di luce.

martedì 18 gennaio 2011

La prova del cuoco


Secondo me gli piaccio.
E adesso che cazzo gli cucino?
E’ venuto  qui per la giornata contro l’aids.
Sarà, ma io gli piaccio. Me ne sono accorto subito. Chissà se qualcuno lo conosce in associazione.
Ti piaccio, pelatino, eh? Sei un nanetto molto simpatico, lo sai, no? E se vale ciò che dicono sui nani… oggi pomeriggio mi diverto… intanto cucino qualcosa di leggero.
Che coraggio che ha però… sa che sono sieropositivo e mi guarda comunque… maiale.
Già, sei proprio un gran maiale, carino. Un po’ più di peperoncino, su. 
E che cazzo vuole sapere da me poi? Come si vive con l’hiv? Ma secondo te come si vive? È una festa, guarda!
Aglio, che a te ti puzzi almeno l’alito, imbecille…
Come se non fossi diventato un attivista per rincorrere la mia malattia, per starle addosso, starle sotto, per prenderla, ammanettarla e tenerla sempre più stretta accanto a me, prigioniera dentro di me. Io, il carceriere della mia malattia. Il carcere è un ottimo antidoto alla paura. L’ho odiata la mia malattia. Sì, la odio ancora. Ogni volta che devo dire che sono sieropositivo. Ogni volta che lo devo ammettere. Ogni volta che lo dico e devo decifrare il primo sguardo del mio amante…è il primo sguardo che conta… dal primo sguardo so se devo andarmene in fretta, se devo correre via per non sentirmi dire le solite stronzate, le stronzate di chi non sa, le stronzate di chi si ritiene ancora (chissà per quanto) più fortunato di me. Odio dover odiare gli ignoranti.
E tu invece, nanetto, vieni qui, io ti invito a pranzo, e sembri interessato a sapere tutto di me. Ma io non ti dico niente sai? Chi ti conosce a te? E’ già tanto se ti cucino qualcosa… a casa mia… nella tana del lupo. Lo faccio solo perché voglio vedere se ci provi.
10 anni di terapia e i miei muscoletti sono ancora tutti al loro posto… che paura che avevo. Una morsa allo stomaco ogni volta che mi guardavo allo specchio. Che cercavo disperatamente qualcosa di diverso.
Manca sale.
Manca sempre qualcosa in questa minchia di vita.
Io ti porto fino al limite massimo e poi (gentilmente) ti invito ad andartene. Anzi  ti faccio tanto di occhi (… gli occhi…) che no… che mai me lo sarei aspettato… da un nanetto come te. E pensare che ti avevo pure invitato a pranzo. Che ingenuo che sono.
Ancora cinque minuti ed è pronto.
Ne parliamo dopo della mia vita, dai. Intanto continua a guardarmi. Desiderami. Invano. Capita spesso anche a me.
Fotografami sì. Stai per scattarmi delle fotografie, no? Nella mia vita di tutti i giorni. La giornata qualsiasi di un sieropositivo (frocio) qualsiasi. Sono qui. Ammirami nel regno dei miei fornelli. In cucina c’è un sieropositivo-frocio-qualsiasi! E sa cucinare! Ma te sai se veramente esiste un frocio-sieropositivo-qualsiasi? Che credi che sono un marziano?
 So io che te ne fai poi delle mie foto… che credi che sono un marziano? Chi credi di fotografare? La madonna? Quella è già passata da un pezzo! Di miracoli non ne fa più.
Sei anni di lotta per niente. Guarda: lecco il cucchiaio.
E intanto la gente s’ammala lo stesso. Dovremmo essere per le strade e invece sono qui a farmi fotografare da te. A farti il mio piatto preferito. Intanto mangiati ‘sta roba. Aspetta: scotta, te la faccio assaggiare appena è pronta.
L’ho preparata per te. Per te che vuoi sapere della mia vita. Del sapore della mia vita. Per te che stai zitto e mi guardi. Per te che mi rispetti. Che non mi fai le solite stupide domande. Che mi costringi a farmele da solo. Potrei dirti qualsiasi cosa e tu rimarresti in silenzio. A bloccare il millesimo di secondo con la tua macchina bastarda.
Beh. Poi voglio una copia di tutto. E decido io se le puoi pubblicare.
Perché sei venuto trovarmi? Credi di poter servire a qualcosa? Alla causa magari? Non ci siamo riusciti noi. Cretino.
Lo assaggio un’ultima volta per sentire se è cotto. A puntino.
Certo che potresti farmi dei complimenti. Come trovi il mio profilo? Cucchiaio di legno o cucchiaio di ferro?
Provaci con me dai…continua a guardarmi… scatta quella cazzo di fotografia e cambia angolatura… cambia posto… continua a guardarmi…
Mancano solo 3 minuti… facciamo 5 dai.

lunedì 17 gennaio 2011

Chi non fa fatica a vivere?

E’ strano come ci sia sempre tanto silenzio nella sala d’aspetto, raramente così tante persone non emettono suoni, tutti attenti a non toccarsi, a non guardarsi negli occhi, tutti cercano di ridurre al minimo lo spazio che i propri corpi occupano, quasi a voler scomparire, un po’ come quando da bambini ci si fa piccoli piccoli agli occhi dei grandi quando si è stati sorpresi a fare qualcosa di male.
Ma io non ho fatto niente di male, anzi per dire la verità credo che nessuno se lo meriti.
Per me non è così o non sempre almeno, si è vero che a volte stò con la faccia piantata su di un libro e leggo, leggo velocemente quasi corressi per farmi distrarre dalle parole per non  pensare a dove sono a che cosa stò facendo, ma altre volte, la maggior parte guardo, guardo le facce degli altri.
Ognuno di noi ha una storia diversa, ad alcuni gliele puoi leggere in faccia la loro storia, altri si nascondo.
C’è quasi qualcosa di comico, a volte credo che l’hiv faccia venir voglia di leggere o almeno questo è quello che ti viene da pensare quando stai in una sala d’aspetto di un day hospital.
Si è vero che a volte qualcuno sbrocca, uno volta un uomo ha dato di matto, continuava a guardarmi e a dirmi che avrebbero smesso di guardare anche me se avessero saputo della mia sieropositività e che la mia giovinezza non mi avrebbe protetto a lungo dalla solitudine, strano perché io quell’uomo lo trovavo bello, vestito male ma bello.
Sono questi tipi di pensieri che a volte mi confondono, non ho le idee chiare su tutto questo, no, non voglio dire di non aver studiato la lezioncina, so come si trasmette il virus, che cosa bisogna fare per restare sani il più a lungo possibile una volta contagiati, dieta, sport farmaci ecc. ecc. no no per carità questo lo so fin troppo bene.
Quello che non mi è sempre chiaro è chi sono io ora, che cosa ne sarà di me; faccio fatica a mettermi a fuoco, ecco sono un giovane uomo sieropositivo, ma questo che cosa significa?, non si è accesa nessuna spia su di me che mi renda diverso dagli altri, il mio corpo non ha ancora cominciato a cambiare e forse non lo farà mai la mia aspettativa di vita è di un poco minore rispetto a quella della media, ma la media deve tener conto delle persone morte al lavoro o negli incidenti o per altre malattie oppure no??
Non so neanche se questo faccia di me una persona migliore o peggiore, ero io prima e lo sono anche ora.
Mi guardo allo specchio e non mi è chiaro quasi niente, a volte mi dimentico di avere questa cosa, non riesco neanche a chiamarla per nome strano no?
Una donna all’ultimo controllo mi raccontava di quanto fosse bella prima della malattia, ma a me continua a sembrare una bella donna di circa 50 anni, e comunque a guardarla il suo viso mi sembrava più che normale.
Credo abbia letto nei miei occhi la mia confusione, così mi ha raccontato che almeno una volta all’anno si va a far riempire le guance con qualcosa che non ricordo bene, ma mi ha spiegato che adesso ti mettono dentro cose buone che non ti fanno la faccia tutta a bozzi come succedeva una volta, e che si certo devi farti quelle iniezioni ogni sei o dodici mesi ma chi se ne frega se poi hai una faccia che non ti fa vergognare di te.
E’ strano se ci pensi bene è veramente strano, puoi parlare di chi ti sei scopato il come il dove il quanto senza nessuna remora ma mai e poi mai parli della malattia, nemmeno con amici che hanno il tuo stesso “problema” ecco vedi l’ho fatto anch’io un'altra volta, cerco dei sinonimi e così le poche conversazioni sul tema si riempiono di pietosi sinonimi, “tu capisci la mia situazione”, “il problema”, “lo stato in cui mi trovo”, “ quella cosa li” ecc. ecc.
Credo si abbia paura, paura di renderlo reale, se lo nomini allora non puoi più negare che anche tu sei sieropositivo, se lo dici allora non puoi più far finta di niente e devi fare i conti con un corpo che in parte non senti più tuo.
Però ogni volta che vado a nuotare o che corro o che rido, ecco allora mi dico che tutto va bene, che la mia vita non è poi così male e che sono felice, si sono felice perché questa merda almeno mi lascia vivere, tra mille difficoltà, ma chi non fa fatica a vivere?